lunedì 21 giugno 2010

Il mio amico Eric




Storia di due Eric. Uno è un impiegato delle poste inglese (interpretato da Steve Evets), la cui vita è andata a rotoli da un pezzo. Trent’anni prima lasciò la moglie, suo grande amore, che aveva appena avuto una bimba; non se l’è mai perdonato e non ha saputo mai chiedere (a lei) perdono (mentre la figlia, sorprendentemente, gli vuole bene). A sua volta, è stato lui a essere abbandonato dalla seconda consorte, che gli ha “mollato” anche i suoi due figli, che Eric deve cercare di crescere; ma loro sembrano ribellarsi a un padre che non sentono loro (o così sembrerebbe). E che beve, fa incidenti, si deprime. L’altro Eric è il mito del primo: il grande Cantona, ex calciatore francese amatissimo in Inghilterra soprattutto dai tifosi del Manchester United di cui era il beniamino. A lui, o meglio al poster che giganteggia nella sua camera, si rivolge per disperazione il povero postino (che pure avrebbe dei fantastici amici-colleghi, che lo confortano e cercano di tirarlo su anche in modi esilaranti). E lui, Cantona, sorprendentemente risponde. Con la stessa franchezza, originalità e grandezza d’animo del calciatore da lui tanto ammirato. Insegnandogli a rialzarsi in piedi, a guardare al suo presente e al suo passato e a tirar fuori tutta la sua umanità.
Da un inizio che sembra riprendere i grandi film realistici e sociali di Ken il rosso (Riff raff, Piovono pietre, Ladybird Ladybird, My name is Joe), si passa a una svolta “fantasy” che risulta una simpatica e stravagante soluzione narrativa – sorprendentemente, molto naturale e mai forzata – ma non suona come fuga irritante dalla realtà. Come l’Humphrey Bogart che consigliava Woody Allen in Provaci ancora Sam, così Cantona – interpretato dallo stesso ex calciatore, da tempo lanciato nel cinema ma qui bravo come mai prima – parla a Eric. E lo consola, lo sprona, gli regala le sue massime famose (davvero il calciatore si esprimeva con aforismi ricchi di nonsense, come si può vedere nell’esilarante sequenza sui titoli di coda). E, pian piano, gli fa tornare fiducia in se stesso. E riavvicinare l’ex moglie: una vecchia cartolina e un vecchio paio di scarpe da ballo sono il segno che l’amore tra loro non è mai finito. Poi il dramma avviene lo stesso, anche un po’ troppo calcolato, per colpa di un delinquente che ricatta uno dei ragazzi cui fa da padre. Ma l’uscita definitiva dal tunnel, in questa irresistibile commedia umanissima di Ken Loach (uno dei suoi film più belli, e più positivi) dove le persone sono piene di contraddizioni come nella vita reale (l’ex moglie, sola e triste, che rimorchia giovani ragazzi negli hotel), avviene non solo evocando le gesta, sportive, del grande calciatore francese (e nel film si vedono alcune delle sue giocate più belle e spettacolari: che campione…) e poi con una trovata d’antologia chiamata “operazione Cantona”. Bensì con l’accettare il miglior consiglio che il fantasma del suo mito (ma è davvero solo un fantasma?) gli ha regalato: devi sempre fidarti dei compagni di squadra. Ovvero, degli amici.

Antonio Autieri
Tratto da: www.sentieridelcinema.it

mercoledì 2 giugno 2010

The Road. I nostri figli nel Giorno del Giudizio


Viaggio in un’apocalisse che è già qui. Un mondo ridotto in cenere e spazzatura dove la speranza è un paio di scarpe. E quel bambino. «Se non è lui il verbo di Dio, allora Dio non ha mai parlato»




di Emanuele Boffi
Tratto da: www.tempi.it


C’è tutto e solo quello che è essenziale per dire che la vita è speranza. Non ci sono più cose, nomi, colori. Solo il grigio della sabbia lavica. Solo un padre, un figlio, due proiettili, una pistola, una fame primordiale. E ai bordi della strada solo ciuffi ammuffiti di gramigna. Tutto è ridotto all’essenziale, come una verità che necessita di essere scarnificata dell’accessorio per manifestare la sua ossatura salvifica. Ci sono le carcasse metalliche delle auto, il buio plumbeo del cielo, le notti senza stelle, la compagnia dei cadaveri nel letto, un feto impiccato grondante sangue. «Niente che tu non abbia già visto, figlio mio».
Arriva nelle sale del nostro paese The Road, film dell’australiano John Hillcoat tratto dall’omonimo romanzo premio Pulitzer 2007 di Cormac McCarthy, ed è già un miracolo. Non si trovava un distributore italiano disposto a investire su una storia così «angosciante». È vero. Fa stare male. Ma chi ha amato il romanzo amerà anche questa sua riduzione cinematografica, fedele sin nel dettaglio a quell’apocalisse ontologica che il critico del New Criterion ha definito «un tour nel Giorno del Giudizio».
Non era scontato che tutto ciò avvenisse. I celebrati fratelli Coen che avevano messo su bobina la storia di Non è un paese per vecchi, meritandosi l’Oscar, avevano fatto i furbi. Là, alle pagine della storia di un furto e di un inseguimento, McCarthy aveva inframezzato altre pagine, quelle del diario dello sceriffo Ed Tom Bell che di quella caccia assassina davano il senso e il controcanto. I fratelli Coen le avevano marginalizzate, nascoste, rendendoci solo il canovaccio del dramma, ma non la sua filigrana, il suo senso, la sua aria fresca. Ci avevano dato le rughe che attraversavano il volto dello sceriffo, ma non ci avevano detto di che cosa fossero figlie quelle rughe, quali percorsi avessero seguito quei solchi sull’epidermide di un vecchio sceriffo saggio. Ci avevano dato la suggestione, ma ci avevano privato della sua origine, per paura, indolenza o, forse chissà, per codardia.
Questa volta, con un altro regista, con un altro libro, con un altro film che forse non riceverà nessun premio perché è duro, è nero pece, fa venire i crampi allo stomaco e soprattutto è un film che narra di un sacrificio redentore, forse questa volta potremo dire che tradurre non è stato tradire, e che il padre è quel padre e che il figlio è quel figlio, senza nessuna edulcorazione hollywoodiana, senza nessuna introspezione psicologica, senza nessuna blandizia sentimentale: «Credo che sia ottobre – sono le prime parole del padre –, ma non ne ho la certezza. Ogni giorno è grigio, freddo. Il mondo muore. Presto tutti gli alberi del mondo cadranno».
Come nel romanzo si è subito in viaggio. Qualche flashback ci restituisce il volto della madre, una dea disfatta che non ce l’ha fatta a sopportare l’incolore vuoto di un universo in cui «non c’è dopo. Adesso è dopo». Il padre e il figlio vanno a sud, in cerca di caldo, imbattendosi di tanto in tanto in qualche altro sopravvissuto a una catastrofe di cui non si dice né nome né motivo. In questo esodo familiare, l’unica certezza è costituita da avere le scarpe ai piedi, qualche brandello di cibo rovistato nella spazzatura e il fatto che «il bambino è la mia garanzia e se non è lui il verbo di Dio, allora Dio non ha mai parlato». La strada non ci risparmia nulla, ma ci fa vedere tutto attraverso gli occhi del padre e del figlio: i luridi cenciosi che stanno ai bordi delle strade come aviatori abbattuti, antropofagi tagliagole pronti a sgozzare bambini per i loro sabbah mefistotelici, dispense piene di corpi umani destinati alla tavola imbandita di qualche cannibale subumano. Il bambino vede tutto, tutto. I cadaveri penzolanti dalle travi («Non è come pensi. Si sono suicidati. Perché? Lo sai perché»), gli incendi, le esplosioni, la distruzione. Vede il padre spiegargli come mettere la pistola in bocca, «se ti prendono puntala in alto e poi premi il grilletto». Vede il padre rammendarsi una ferita con una pinzatrice e un brandello di scotch. Vede qualche immagine del mondo come fu, ma solo su un libro, al chiarore incerto di una molotov.

E l’educato diventa educatore
In questo viaggio sul fondo della Geenna il padre e il figlio «sono uno il mondo intero dell’altro», ma ad ogni passo questo mondo senza domani si trasforma. Anche all’inferno ci sono sprazzi di purgatorio. Una Coca-Cola, una sigaretta, un whisky, un bagno con lo shampoo. Soprattutto la certezza che «noi portiamo il fuoco», noi che, per una grazia immeritata, protendiamo le mani nel buio e ringraziamo «per la zuppa e i tacos». Sarà il figlio la salvezza del padre contro la disillusione, il nichilismo dal volto disumano e il grigio nulla che avanza. «Per me è come Dio», dirà ad un certo punto il padre, costretto ad arrendersi al richiamo del bambino che lo supplica di aiutare un vecchio cencioso: «Dici sempre di stare attento ai cattivi. Quel vecchio non era cattivo. Non vedi più la differenza». E quando il padre gli rimprovererà di volersi preoccupare per chi «morirà comunque», il figlio si farà educatore del suo educatore: «Tocca a me, invece. Tocca a me preoccuparmi».
Cormac McCarthy ha rilasciato due o tre interviste nella sua vita. Non di più perché, come disse una volta alla regina dei talk-show americani Oprah Winfrey, «non penso che sia una cosa buona per la propria testa. Tu cammini sul tuo lato della strada e io sul mio». Vive come un eremita a El Paso, Texas, è nato in una famiglia cattolica, è stato sposato tre volte, ha trascorso dei periodi della sua esistenza senza avere nemmeno i soldi per comprare un tubetto di dentifricio: «Vivevo in una baracca del Tennessee e avevo finito il dentifricio. E un mattino sono andato all’ufficio postale per vedere se era arrivato qualcosa. E nella mia cassetta della posta c’era un dentifricio. La mia vita è piena di episodi come questo. È sempre stato così: quando la situazione si faceva critica, succedeva sempre qualcosa». Ha fatto il rivenditore di auto, ha sbarcato il lunario lavorando nei fienili, la sua seconda moglie, Annie, una ballerina, ha raccontato che «venivano a offrirgli duemila dollari per parlare in qualche università e lui rispondeva che ciò che aveva da dire stava nel suo libro».
McCarthy ha detto di aver scritto La strada per suo figlio, John Francis, cui l’opera è dedicata. Ha dichiarato che il libro è per metà opera sua perché «quando hai un figlio vieni risvegliato dal tuo proprio sonno» e sei costretto «a guardare le cose con un nuovo sguardo. Ti costringe a pensare al mondo». Il padre e il figlio del romanzo e del film sono McCarthy e John Francis, ma, come in ogni narrazione dal sapore biblico, sono anche ogni padre e ogni figlio in viaggio verso il caldo del mare. «Il mare è blu? Non lo so, un tempo lo era». La strada di McCarthy non è Sulla Strada di Jack Kerouac. McCarthy ha una meta – un destino, un mare cui arrivare – e un figlio – un compito, un legame da proteggere –, non propone la mistica del viaggio fine a se stesso, interrotto solo da incontri casuali e irrilevanti, che nella banalizzazione letteraria moderna è diventato il refrain secondo cui «non importa la meta, quel che conta è il viaggio». E invece no, quel che conta è la meta, i compagni di strada, «portare il fuoco». «Dov’è il fuoco papà? Non so dov’è. Sì che lo sai. È dentro di te. È sempre stato lì».

«Noi portiamo il fuoco»
The Road è una storia di educazione e redenzione. Ed è la storia di un’eredità, perché ogni figlio è l’eredità che ogni padre lascia al mondo. Parlare a un figlio è come parlare a Dio, non si può imbrogliare, non si può tergiversare; sì sì, no no. «Noi siamo i buoni. Noi portiamo il fuoco». Ma il viaggio in cui ci conduce McCarthy è la scoperta che le parole che ti rivolge il figlio sono le parole che ti sta sussurrando Dio. Sono l’ultima speranza di conversione che ci è data. La nostra conversione, ma non la sua salvezza. Quella non dipenderà da noi. Arriverà dal fondo della strada, camminando sulla spiaggia con una borsa e un fucile a tracolla.

giovedì 27 maggio 2010

THE ROAD


In un'America ridotta a deserto, un'uomo sofferente e il suo giovane figlio cercano di sopravvivere, in un viaggio verso l'oceano.

Il film tratto da uno dei libri più sconvolgenti e affascinanti degli ultimi anni arriva al cinema. Dopo un'attesa durata più di un anno, anche il pubblico italiano finalmente potrà assistere alla trasposizione cinematografica di "The Road", il libro che più di ogni altro ha reso noto Cormac McCarthy.
Un uomo e il suo bambino sono in viaggio a piedi spingendo un carrello del supermercato che contiene tutti i loro averi, cercando di arrivare al mare, in un’America devastata da un cataclisma di cui non si sa l’origine. Tutto è morto: gli alberi, la vegetazione, gli animali. L’unica sussistenza per i pochi rimasti che ancora vogliono vivere è nella ricerca di qualche scatoletta ancora intatta o, come per alcuni gruppi ormai degenerati, il cannibalismo. In questo panorama terrificante il protagonista, abbandonato anche dalla moglie, cerca di conservare la propria dignità e umanità per trasmetterla al figlio, a costo della vita. È una vicenda dura e sconvolgente, quella di The Road, il film di John Hillcoat tratto dal romanzo di Cormac McCarthy. McCarthy è uno dei maggiori scrittori viventi, con legioni di lettori in tutto il mondo. Per "The Road" si è meritato il premio Pulitzer, il massimo riconoscimento nazionale cui può aspirare uno scrittore americano (il film tratto da un altro suo romanzo di successo, Non è un paese per vecchi, è stato diretto dai fratelli Coen, e ha vinto quattro Oscar nel 2007). Ben altra storia quella di The Road, che nonostante la notorietà del romanzo ha subito rinvii produttivi, l’insuccesso in patria e la freddezza di gran parte della critica (in Italia rischiava di non uscire nemmeno). Invece è da vedere: a parte le prove dei due eccezionali protagonisti e una tensione che non viene mai meno, la pellicola commuove per la profondità del rapporto tra un padre che nonostante il dolore cerca di comunicare al figlio il Bene in condizioni devastanti, e un figlio che lo segue anche quando lo vede cedere sotto il peso delle inevitabili contraddizioni, perdonandolo e amandolo. Un film che guarda in faccia il Male ma sa indicare una prospettiva e una speranza di bene.

Beppe Musicco
Tratto da Sentieri del Cinema

La Strada.


Un uomo e un bambino, padre e figlio, senza nome. Spingono un carrello, pieno del poco che è rimasto, lungo una strada americana. La fine del viaggio è invisibile. Circa dieci anni prima il mondo è stato distrutto da un'apocalisse nucleare che lo ha trasformato in un luogo buio, freddo, senza vita, abitato da bande di disperati e predoni. Non c'è storia e non c'è futuro. Mentre i due cercano invano più calore spostandosi verso sud, il padre racconta la propria vita al figlio. Ricorda la moglie (che decise di suicidarsi piuttosto che cadere vittima degli orrori successivi all'olocausto nucleare) e la nascita del bambino, avvenuta proprio durante la guerra. Tutti i loro averi sono nel carrello, il cibo è poco e devono periodicamente avventurarsi tra le macerie a cercare qualcosa da mangiare. Visitano la casa d'infanzia del padre ed esplorano un supermarket abbandonato in cui il figlio beve per la prima volta un lattina di cola. Quando incrociano una carovana di predoni l'uomo è costretto a ucciderne uno che aveva attentato alla vita del bambino. Dopo molte tribolazioni arrivano al mare; ma è ormai una distesa d'acqua grigia, senza neppure l'odore salmastro, e la temperatura non è affatto più mite. Raccolgono qualche oggetto da una nave abbandonata e continuano il viaggio verso sud, verso una salvezza possibile...

«Di che è mancanza questa mancanza...

«Di che è mancanza questa mancanza,
cuore,
che a un tratto ne
sei pieno?
di che?
Rotta la diga
t’inonda e ti sommerge
la piena della tua indigenza...
Viene,
forse viene,
da oltre te
un richiamo
che ora perché agonizzi non ascolti.
Ma c’è, ne custodisce
forza e canto
la musica perpetua ritornerà.
Sii calmo»
Mario Luzi

venerdì 21 maggio 2010

CS: Popieluszko – Non si può uccidere la speranza


L’Associazione Culturale “L’Angolo bello - Krasnyj Ugol” e il Centro Culturale “Aequitas et Veritas” organizzano, in collaborazione l’Assessorato al Welfare, Benessere e Creatività Giovanile del Comune di Parma,la proiezione del film “Popieluszko – Non si può uccidere la speranza”. Diretto dal giovane regista polacco Rafal Wieczynski, il film rievoca, a 25 anni esatti dalla violenta morte, l’uccisione di padre Jerzy Popieluszko, sacerdote nemmeno quarantenne che divenne all’ inizio degli anni ‘80 una spina nel fianco del regime comunista in Polonia. Popieluszko (la cui beatificazione avrà luogo a Varsavia il 6 giugno prossimo in presenza dell'arcivescovo Angelo Amato, prefetto della Congregazione per i santi del Vaticano) fu in quegli anni la guida spirituale del sindacato libero Solidarność. Il film, fedelissimo ai fatti, rappresenta con un realismo semidocumentaristico una vicenda umana molto importante nella storia polacca e non solo; il taglio documentaristico e a tratti didascalico, senza essere mai noioso, diventa molto utile per chi non hanno mai sentito parlare di quei fatti.

La proiezione, con ingresso gratuito, si terrà martedì 25 maggio 2010 alle ore 20.30, presso il Cinema Astra, Piazzale Volta 15 a Parma.

Per maggiori informazioni: www.langolobello.com

Guarda il trailer del film

lunedì 17 maggio 2010

Un autore russo del Novecento scriveva...

«Figlioli miei carissimi... abituatevi, imparate a fare tutto quel che fate con passione, ad avere il gusto del bello, dell’ordine; non disperdetevi, non fate niente senza gusto, a qualche maniera. Ricordatevi che nel “pressapochismo” si può perdere tutta la vita, e al contrario, nel compiere in maniera ordinata, armoniosa, anche cose e opere di secondaria importanza si possono fare tante scoperte, che poi vi serviranno come sorgenti profondissime di nuova creatività... E non solo. Chi fa “a qualche maniera”, impara a parlare nello stesso modo, e la parola trascurata implica poi di conseguenza anche un pensiero confuso. Figlioli miei carissimi, non permettete a voi stessi di pensare in maniera trascurata. Il pensiero è un dono di Dio, richiede che ce ne prendiamo cura. Essere chiari e responsabili nel proprio pensiero è il pegno della libertà spirituale e della gioia del pensiero. Era tanto che volevo scrivervelo: guardate più spesso le stelle. Quando provate dolore nell’anima, guardate le stelle oppure l’azzurro del cielo. Quando vi sentite tristi, quando qualcuno vi offende, quando non vi riesce qualcosa oppure vi sopraffà la tempesta interiore, uscite fuori e rimanete a tu per tu con il cielo. E allora la vostra anima si placherà. Non rattristatevi e non datevi pena per me. Se sarete lieti e coraggiosi, ne sarò confortato anch’io. Sarò sempre con voi nell’anima, e se il Signore lo permetterà verrò a voi di frequente per vegliare su di voi. La cosa più importante che vi chiedo è che facciate sempre memoria del Signore e camminiate al Suo cospetto. Con questo, vi ho detto tutto quello che ero in grado di dirvi. Il resto non sono che particolari secondari. Ma questo non dimenticatevelo mai.»
(da La Nuova Europa, n. 6/2007)

giovedì 4 marzo 2010

"Noi, ragazzi degli anni '60..."

"Fin dai primi passi ci avevano insegnato a guardare il mondo circostante attraverso gli occhiali rosa della mitologia ufficiale. A questo erano finalizzate tutte le istituzioni del sistema: la scuola, dall'asilo alle aule universitarie, il komsomol, la stampa, la radio, la letteratura del "realismo socialista". Tutto era mirato a quest'unico obiettivo e l'apparato del partito, il KGB e la censura vegliavano attentamente affinché nessuna voce dissonante turbasse questi sforzi congiunti...
Si può dire che l'esperimento sia riuscito? Solo in parte. Perché proprio il destino della nostra generazione ha mostrato meglio di qualunque altra esperienza che la vita è indistruttibile, che è più astuta anche dei calcoli all'apparenza più perfetti e lungimiranti.
Allevata artificialmente in ambiente sterile, nel laboratorio dei piani quinquennali stalinisti, messa accuratamente al riparo da qualsiasi "influenza perniciosa", questa generazione non solo non divenne il sostegno incrollabile del sistema, ma fu la prima a infliggergli dei colpi consistenti e soprattutto cominciò a distruggere la sua "leggenda".
Tutto ciò si sarebbe verificato su vasta scala molto più tardi, ma alcuni isolati germogli cominciarono a bucare l'asfalto già allora".
Jurij Burtin

giovedì 25 febbraio 2010

Juventus: una Europa League che profuma di Champions











tratto da www.sportmain.com
di Paolo Serafini


TORINO – Stasera la Juventus all’Olimpico, in una sfida che ricorda la Champions League, si gioca il secondo round con l’Ajax. Il primo l’ha vista vincente grazie alle prodezze di Alessandro Del Piero e ai goal del ritrovato Amauri. Stasera la posta in gioco è alta: volare agli ottavi di finale di Europa League per sfidare la vincente della sfida tra gli inglesi del Fulham e gli ucraini dello Shakthar Donetsk, vincitori dell’ultima edizione della Coppa Uefa.

LA SQUADRA – Problemi di formazione stasera per Zac. Gigi Buffon, alle prese con un trauma distrattivo della regione mediale della coscia destra, riportato ieri in allenamento no gli permetterà di essere tra i pali, al suo posto Manninger. Neanche Grosso figura tra i convocati per l'Ajax, fermo per un lieve affaticamento muscolare. Ad allungare la lista dell’infermeria juventina vanno aggiunti Giovinco, Caceres, Chimenti, Iaquinta, Poulsen. Buone notizie invece per quanto riguarda il recupero di Camoranesi e Trezeguet che stasera saranno a diposizione del ct juventino. Unico squalificato in casa juventina Hasan Salihamidzic.

FORMAZIONE – La probabile formazione della Juventus, che opterà per un 4-3-2-1, dovrebbe essere: Manninger, Grygera, Legrottaglie, Chiellini, De Ceglie, Sissoko, Melo, Marchisio, Amauri, Diego, Del Piero. A disposizione di Zaccheroni: Pinsoglio, Cannavaro, Zebina, Camoranesi, Candreva, Trezeguet, Paolucci.
L’Ajax si presenterà, preferendo come modulo il 4-3-3, in campo con: Stekelenburg, Alderweilerd, Vertonghen, Oleguer, Van Der Wiel, Da Zeeuw, De Jong, E. Enoh, Emanuelson, Pantelic, Rommedhal. A disposizione del tecnico Jol: Vermeer, Anita, Sulejmani, Ogararu, Suk, Lodeiro, Eriksen. Unico squalificato: Suarez. Indisponibili: Lindgren, Bakircioglu, Atouba.

martedì 16 febbraio 2010

COMUNICATO STAMPA - Presentazione libro "Liberi. Storie e testimonianze dalla Russia"

Il Centro Culturale “Aequitas et Veritas” nasce all’interno della Associazione Studentesca Student Office presente in Università ormai da più di dieci anni. Tale realtà si propone di approfondire con testimonianze dirette aspetti del mondo quotidiano e universitario. Si propone, inoltre, di far interagire il mondo esterno con le problematiche universitarie, di creare rapporti culturali e umani che partano dalla medesima voglia di vero e di bello. Per questo motivo, durante questi anni, abbiamo organizzato vari cicli di incontri aventi per tema l’attualità, la cultura.

L’Associazione Culturale “L’Angolo bello - Krasnyj Ugol” recentemente costituita nasce da alcuni studiosi e non, desiderosi di approfondire la propria passione per la storia dei popoli dell’Europa Centro-Orientale, con particolare riferimento a quelli slavi. Attraverso incontri, mostre, e altre attività culturali, l’Associazione si propone di valorizzare e far conoscere l’esperienza umana, culturale e religiosa di questi popoli affinché sia possibile un confronto ed una auspicata integrazione di coloro che, provenendo da quei paesi, oggi sono residenti nella nostra città e nella nostra provincia. L’originale denominazione prende spunto dalla centralità che le icone avevano nelle isbe russe. Centrali nella casa e centrali nella vita: a significare che la vita di ciascuno è intrisa del Mistero che “fa tutte le cose” e che a Lui occorre guardare perché la persona, proveniente da qualsiasi latitudine e di qualsiasi tempo, si sviluppi cosciente del proprio destino.

Il primo appuntamento di quest’anno, organizzato anche in collaborazione con la Fondazione Russia Cristiana e la Libreria Fiaccadori, sarà la presentazione del libro “Liberi – Storie e testimonianze dalla Russia”. L’autrice, Dott.sa Giovanna Parravicini, responsabile del Centro Culturale “Biblioteca dello Spirito” di Mosca , nominata dal santo Padre consigliere culturale della rappresentanza pontificia nella Federazione russa, proporrà la testimonianza di alcune vittime dell’ideologia comunista nel corso di tutto il XX secolo le quali, anche a distanza di anni, ci ricordano che «è sempre possibile vivere da uomini, fare un’esperienza di libertà e di verità, in forza di un incontro che colma la vita e la rende degna del suo nome».


L’incontro si terrà martedì 23 febbraio 2010 alle ore 21, presso l’aula K2 della Facoltà di Economia, in via Kennedy 6 a Parma. Per informazioni è possibile visitare il sito: www.studentofficeparma.it o www.langolobello.com.

lunedì 1 febbraio 2010

Diego: « Non dobbiamo solo giocare bene ma dobbiamo vincere»












tratto da www.sportmain.com
di Paolo Serafini

STADIO OLIMPICO (TO) – Dopo aver costruito e faticato tanto la Juventus versione Zaccheroni porta a casa un solo punto. Buon risultato se si pensa che “Zac” è arrivato sulla panchina bianconera solo due giorni fa. Fermato all’ingresso dello stadio dai giornalisti di Sky, Buffon ha commentato così l’arrivo dell’allenatore romagnolo: « Credo che Zaccheroni sia la scelta giusta per sostituire Ferrara: Ciro era il nostro punto di riferimento, è stato un grandissimo dispiacere il suo esonero».

ZAC – Il nuovo ct bianconero è critico per la prestazione della sua squadra, come spiega ai giornalisti della gazzetta.it: «In fase di possesso, ma anche di non possesso, siamo stati poco incisivi. C'è troppa frenesia in campo. A volte diventa voglia di strafare». Proseguendo in una analisi tecnica della partita, Zaccheroni spiega che il punto debole della Juventus è stato il non voler cercare la profondità della manovra ma preferire entrare in area avversaria con il pallone tra i piedi. Altro punto da migliorare, spiega il ct bianconero, è la posizione tenuta da Diego e Del Piero «hanno giocato a volte troppo vicini l'uno all'altro. Il brasiliano dovrebbe cercare qualche spazio in più sulle fasce.»Alla fine Zaccheroni riconosce il duro lavoro dei suoi giocatori «E' evidente che nella squadra ci sia tanta rabbia da smaltire. Nello spogliatoio ho visto i giocatori rammaricati. Questo è positivo».

SQUADRA – Gli undici bianconeri sembrano aver sentito il cambio di direzione della panchina. Buona prestazione della squadra, in modo particolare del brasiliano Diego e dell’insostituibile Sissoko. Buona prestazione anche di Alessandro Del Piero più volte protagonista in azione da gol, una delle quali lo porta a procurarsi il rigore e a segnarlo. Diego, fermato all’ingresso del tunnel dai giornalisti di Sky, commenta così la partita: «Non dobbiamo solo giocare bene ma dobbiamo vincere. Abbiamo giocato meglio ma loro hanno pareggiato, adesso dobbiamo allenarci. Abbiamo una settimana per questo e pensare alle prossime partite».

domenica 31 gennaio 2010

Juventus: primo test per "il traghettatore" Zac













tratto da www.sportmain.com
di Paolo Serafini



TORINO – Alla fine è successo ciò che sui giornali era già stato proclamato da alcuni mesi: Ciro Ferrara lascia la panchina della Juventus e arriva Alberto Zaccheroni. Uomo deciso il ct romagnolo che già durante la prima conferenza stampa non lascia spazio a dubbi «Devo capire cosa i miei ragazzi possono dare sul piano della tenuta psicologica. Dobbiamo competere con la migliore del campionato, non deve lottare per la salvezza, quindi dovremo avere una tenuta di testa costante, perenne. Se non c'è questa qualcuno potrà dire che manca il carattere. Lavorerò per portare di nuovo una mentalità vincente, quella di inizio stagione».


JUVENTUS – Tutti i tifosi attendono di vedere una nuova Juventus. Il primo test è sicuramente quello di stasera all’Olimpico contro la Lazio. Zaccheroni, sul sito Juventus.com, spiazza tutti per la sua freddezza «La Lazio? Al momento mi sono concentrato più sulla Juventus. Noi abbiamo il dovere di fare la partita, sempre e comunque». Non sarà un match facile quello che disputerà la squadra bianconera: Buffon squalificato, dopo l’espulsione della settimana scorsa, al suo posto Manninger, altro squalificato d’eccellenza è Grosso; rientrano invece a disposizione dopo gli infortuni Caceres, Giovinco mentre Felipe Melo ritorna dopo aver scontato la squalifica per il cartellino giallo contro il Chievo.


OLIMPICO (To)- Stasera ore 20.45 Juventus – Lazio. A dirigere la partita di stasera sarà l’arbitro Massimiliano Saccani, coadiuvato dagli assistenti Michele Giordano e Simone Ghiandai. Il quarto uomo sarà Renzo Candussio.

domenica 24 gennaio 2010

Alex Del Piero: «Soluzioni? Ne avessi una…»















tratto da www.sportmain.com
di Paolo Serafini

TORINO – Rino Gaetano cantava “ma il cielo è sempre più blu”. Se avesse visto la partita disputata ieri sera all’Olimpico avrebbe immediatamente cambiato il testo in “ma il cielo è sempre più nero”. Ennesima notte da dimenticare per gli uomini di Ferrara: i bianconeri crollano davanti alla corazzata di Ranieri che gli infligge un pesante 2-1.

FERRARA – Prosegue ormai da mesi il tira-molla tra la stampa e Ferrara sul tema scottante della sua permanenza alla guida della squadra bianconera. Nonostante dopo la sconfitta di ieri sera è tornano ad aleggiare sulla panchina juventina lo spirito di Hiddink, Ferrara preferisce parlare, ai giornalisti di Tuttosport, della partita difendendo il lavoro della squadra: “È una sconfitta per quello che i ragazzi hanno messo in campo, per quello che hanno dato come voglia, come temperamento e anche, in alcune circostanze, come qualità di gioco, credo che la Juventus meritasse sicuramente di più. D’altra parte il ct bianconero non vuole nascondersi dietro falsi alibi ammettendo che È inutile nascondersi. A questo punto siamo molto dietro”.

DEL PIERO – Il primo a parlare ai giornalisti nel post gara è stato il capitano Alessandro Del Piero il quale, ai microfoni di Juve Channel, ha ricordato che “Dobbiamo ridimensionarci come obiettivi, la situazione è grave. Per noi è durissima. Solamente insieme possiamo toglierci da questa situazione”. A chi gli chiede se è soddisfatto del suo goal, il capitano risponde ammaricato che “Non me lo godo per niente”. D’altra parte da buon capitano, Alessandro Del Piero sente su di sé il peso di questo periodo nero per la sua squadra: “Abbiamo tanti infortuni ma non possiamo usare questo come alibi. Soluzioni? Ne avessi una, avremmo già iniziato a risolvere i problemi. Alcune cose non riusciamo a spiegarcele neppure noi”.

lunedì 11 gennaio 2010

Ferrara: “Il modulo attuale l’ho scelto io, me ne assumo la responsabilità”












tratto da sportmain.it
di Paolo Serafini


TORINO – Sono appena passati quattro giorni dalla vittoria conquistata al Tardini sul Parma di mercoledì scorso e la Juventus si trova ancora nel turbine della crisi dopo la bruciante sconfitta subita all’Olimpico. Un 3 a 0 pesante che porta i tifosi juventini a lasciare, urlando cori come “Toglietevi la maglia” e “fate ridere”, in anticipo gli stadi in segno di protesta nei confronti della società bianconera.

FERRARA – E’ lui l’uomo al centro della bufera. Sono ormai alcuni mesi che si parla della sua imminente sostituzione sulla panchina della Juventus. Nonostante le pressanti voci di corridoio, Ciro Ferrara è certo : “Non penso di rischiare il posto” - commenta a caldo a fine gara ai giornalisti della gazzetta.it –“sono concentrato sul da farsi per invertire la tendenza negativa, poi non spetta a me decidere: qualunque scelta sarà accettata, ma io non lascio la barca”. Poi lasciate da parte le domande personali, ai microfoni di SkyTg24 commenta il match ricordando che la sua squadra ha cercato spesso lanci lunghi per l’unica punta Amauri che si sono trasformati in palle difficili da giocare. Infine, senza cercare alibi, prende su di se il peso della sconfitta: “Il modulo attuale l’ho scelto io, me ne assumo la responsabilità”.

LA SQUADRA – Tutto lo spogliatoio juventino è chiaramente deluso per la brutta sconfitta subita in serata e chiuso in un silenzio meditativo. A rincuorare gli animi e a distendere i nervi ci pensa il numero uno bianconero, Gianluigi Buffon, il quale, all’uscita dallo stadio commenta perentoriamente ai giornalisti: “Aspettiamo a dare sentenze. Vedendo l’Inter ieri c’è ancora speranza”.

domenica 3 gennaio 2010

Vinovo 2010: Juventus at work












tratto da sportmain.it
di Paolo Serafini


VINOVO (To)- Continua la preparazione in casa juventina in previsione del big match della befana contro il temuto Parma allenato da Guidolin. Dopo il ritorno di Roberto Bettega, altra grande novità del 2010 potrebbe essere il ritorno al 4-4-2 provato da Ciro Ferrara prima in amichevole, contro l’Al Hittiad, poi anche stamattina in partitella. Nota bene: coppia inedita in attacco Diego – Trezeguet.

SQUADRA- Un 2010 pieno di novità quello della Juventus: infatti sui campi di Vinovo si è potuto vedere anche il ritorno in campo di Giorgio Chiellini dopo l’infortunio. Alla fine dell’allenamento ha commentato: «La sosta natalizia è servita non solo a me che dovevo recuperare dall’infortunio, ma a tutta la squadra. Io mi sono allenato anche durante le vacanze, la squadra ha ritrovato energia e fiducia, ora ci vogliono i risultati per aiutarci a ritrovare sicurezza e gli automatismi di qualche tempo fa.» Impegnato nel suo programma di recupero dopo l’intervento al ginocchio subito a metà dicembre, è invece Gianlugi Buffon. Il numero 1 della Juventus rincuora i tifosi ricordando che il suo sostituto Alexander Manninger « farà bene, come è accaduto nella altre occasioni in cui è stato chiamato a sostituirmi».

ACCADE OGGI: Il 3 gennaio del 1943 la Juventus travolgeva la Fiorentina al Comunale per 5-2 con un’incredibile rimonta. Il primo tempo si chiudeva con i viola in vantaggio per 2-1, nella ripresa l’albanese Lustha trascinò la squadra siglando una doppietta. Gli altri gol sono di Magni, Meazza e Sentimenti III. Sempre il 3 gennaio, ma del 1982, la Juventus sconfisse di misura (1-0) l’Udinese con una rete di Giuseppe Galderisi. Per “Nanu” si tratta del primo gol in Serie A. Il 3 gennaio del 2007 si spense all’età di 67 anni Sandro Salvadore, stella della Juventus a cavallo tra gli anni sessanta e settanta.