giovedì 27 maggio 2010

THE ROAD


In un'America ridotta a deserto, un'uomo sofferente e il suo giovane figlio cercano di sopravvivere, in un viaggio verso l'oceano.

Il film tratto da uno dei libri più sconvolgenti e affascinanti degli ultimi anni arriva al cinema. Dopo un'attesa durata più di un anno, anche il pubblico italiano finalmente potrà assistere alla trasposizione cinematografica di "The Road", il libro che più di ogni altro ha reso noto Cormac McCarthy.
Un uomo e il suo bambino sono in viaggio a piedi spingendo un carrello del supermercato che contiene tutti i loro averi, cercando di arrivare al mare, in un’America devastata da un cataclisma di cui non si sa l’origine. Tutto è morto: gli alberi, la vegetazione, gli animali. L’unica sussistenza per i pochi rimasti che ancora vogliono vivere è nella ricerca di qualche scatoletta ancora intatta o, come per alcuni gruppi ormai degenerati, il cannibalismo. In questo panorama terrificante il protagonista, abbandonato anche dalla moglie, cerca di conservare la propria dignità e umanità per trasmetterla al figlio, a costo della vita. È una vicenda dura e sconvolgente, quella di The Road, il film di John Hillcoat tratto dal romanzo di Cormac McCarthy. McCarthy è uno dei maggiori scrittori viventi, con legioni di lettori in tutto il mondo. Per "The Road" si è meritato il premio Pulitzer, il massimo riconoscimento nazionale cui può aspirare uno scrittore americano (il film tratto da un altro suo romanzo di successo, Non è un paese per vecchi, è stato diretto dai fratelli Coen, e ha vinto quattro Oscar nel 2007). Ben altra storia quella di The Road, che nonostante la notorietà del romanzo ha subito rinvii produttivi, l’insuccesso in patria e la freddezza di gran parte della critica (in Italia rischiava di non uscire nemmeno). Invece è da vedere: a parte le prove dei due eccezionali protagonisti e una tensione che non viene mai meno, la pellicola commuove per la profondità del rapporto tra un padre che nonostante il dolore cerca di comunicare al figlio il Bene in condizioni devastanti, e un figlio che lo segue anche quando lo vede cedere sotto il peso delle inevitabili contraddizioni, perdonandolo e amandolo. Un film che guarda in faccia il Male ma sa indicare una prospettiva e una speranza di bene.

Beppe Musicco
Tratto da Sentieri del Cinema

La Strada.


Un uomo e un bambino, padre e figlio, senza nome. Spingono un carrello, pieno del poco che è rimasto, lungo una strada americana. La fine del viaggio è invisibile. Circa dieci anni prima il mondo è stato distrutto da un'apocalisse nucleare che lo ha trasformato in un luogo buio, freddo, senza vita, abitato da bande di disperati e predoni. Non c'è storia e non c'è futuro. Mentre i due cercano invano più calore spostandosi verso sud, il padre racconta la propria vita al figlio. Ricorda la moglie (che decise di suicidarsi piuttosto che cadere vittima degli orrori successivi all'olocausto nucleare) e la nascita del bambino, avvenuta proprio durante la guerra. Tutti i loro averi sono nel carrello, il cibo è poco e devono periodicamente avventurarsi tra le macerie a cercare qualcosa da mangiare. Visitano la casa d'infanzia del padre ed esplorano un supermarket abbandonato in cui il figlio beve per la prima volta un lattina di cola. Quando incrociano una carovana di predoni l'uomo è costretto a ucciderne uno che aveva attentato alla vita del bambino. Dopo molte tribolazioni arrivano al mare; ma è ormai una distesa d'acqua grigia, senza neppure l'odore salmastro, e la temperatura non è affatto più mite. Raccolgono qualche oggetto da una nave abbandonata e continuano il viaggio verso sud, verso una salvezza possibile...

«Di che è mancanza questa mancanza...

«Di che è mancanza questa mancanza,
cuore,
che a un tratto ne
sei pieno?
di che?
Rotta la diga
t’inonda e ti sommerge
la piena della tua indigenza...
Viene,
forse viene,
da oltre te
un richiamo
che ora perché agonizzi non ascolti.
Ma c’è, ne custodisce
forza e canto
la musica perpetua ritornerà.
Sii calmo»
Mario Luzi

venerdì 21 maggio 2010

CS: Popieluszko – Non si può uccidere la speranza


L’Associazione Culturale “L’Angolo bello - Krasnyj Ugol” e il Centro Culturale “Aequitas et Veritas” organizzano, in collaborazione l’Assessorato al Welfare, Benessere e Creatività Giovanile del Comune di Parma,la proiezione del film “Popieluszko – Non si può uccidere la speranza”. Diretto dal giovane regista polacco Rafal Wieczynski, il film rievoca, a 25 anni esatti dalla violenta morte, l’uccisione di padre Jerzy Popieluszko, sacerdote nemmeno quarantenne che divenne all’ inizio degli anni ‘80 una spina nel fianco del regime comunista in Polonia. Popieluszko (la cui beatificazione avrà luogo a Varsavia il 6 giugno prossimo in presenza dell'arcivescovo Angelo Amato, prefetto della Congregazione per i santi del Vaticano) fu in quegli anni la guida spirituale del sindacato libero Solidarność. Il film, fedelissimo ai fatti, rappresenta con un realismo semidocumentaristico una vicenda umana molto importante nella storia polacca e non solo; il taglio documentaristico e a tratti didascalico, senza essere mai noioso, diventa molto utile per chi non hanno mai sentito parlare di quei fatti.

La proiezione, con ingresso gratuito, si terrà martedì 25 maggio 2010 alle ore 20.30, presso il Cinema Astra, Piazzale Volta 15 a Parma.

Per maggiori informazioni: www.langolobello.com

Guarda il trailer del film

lunedì 17 maggio 2010

Un autore russo del Novecento scriveva...

«Figlioli miei carissimi... abituatevi, imparate a fare tutto quel che fate con passione, ad avere il gusto del bello, dell’ordine; non disperdetevi, non fate niente senza gusto, a qualche maniera. Ricordatevi che nel “pressapochismo” si può perdere tutta la vita, e al contrario, nel compiere in maniera ordinata, armoniosa, anche cose e opere di secondaria importanza si possono fare tante scoperte, che poi vi serviranno come sorgenti profondissime di nuova creatività... E non solo. Chi fa “a qualche maniera”, impara a parlare nello stesso modo, e la parola trascurata implica poi di conseguenza anche un pensiero confuso. Figlioli miei carissimi, non permettete a voi stessi di pensare in maniera trascurata. Il pensiero è un dono di Dio, richiede che ce ne prendiamo cura. Essere chiari e responsabili nel proprio pensiero è il pegno della libertà spirituale e della gioia del pensiero. Era tanto che volevo scrivervelo: guardate più spesso le stelle. Quando provate dolore nell’anima, guardate le stelle oppure l’azzurro del cielo. Quando vi sentite tristi, quando qualcuno vi offende, quando non vi riesce qualcosa oppure vi sopraffà la tempesta interiore, uscite fuori e rimanete a tu per tu con il cielo. E allora la vostra anima si placherà. Non rattristatevi e non datevi pena per me. Se sarete lieti e coraggiosi, ne sarò confortato anch’io. Sarò sempre con voi nell’anima, e se il Signore lo permetterà verrò a voi di frequente per vegliare su di voi. La cosa più importante che vi chiedo è che facciate sempre memoria del Signore e camminiate al Suo cospetto. Con questo, vi ho detto tutto quello che ero in grado di dirvi. Il resto non sono che particolari secondari. Ma questo non dimenticatevelo mai.»
(da La Nuova Europa, n. 6/2007)